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La vita condivisa
Dal 16 maggio al 1° luglio 2012, la Galleria Gruppo Credito Valtellinese – Refettorio delle Stelline di Milano – ospita la mostra LA VITA CONDIVISA. I gesti della famiglia nelle immagini dell’arte, che è frutto originale del lavoro del CREA (Centro di ricerca per l’educazione attraverso l’arte e la mediazione del patrimonio culturale sul territorio e nei musei) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
L’iniziativa presenta 60 opere di artisti, dal Trecento ai nostri giorni, quali Pietro Lorenzetti, Moretto, Sironi, Rouault, Picasso, Pirandello, Morbelli, Pistoletto e altri, provenienti da musei e collezioni italiane, come il Museo Poldi Pezzoli, la Pinacoteca Ambrosiana, il Museo Diocesano di Milano, la Pinacoteca Vaticana.
Egon Schiele

Mani secche, nodose, scheletriche. Nudi intrecciati in contorsioni acrobatiche, volti emaciati e sofferti. Un’umanità disperata e macabra di sopravvissuti, il volto intimo dell’impero austroungarico alla fine. A estrarlo da ogni individuo e a renderlo sulla tela è Egon Schiele, straordinario artista austriaco vissuto solo ventotto anni, dal 1890 al 1918. Un pittore scandaloso, che la critica ha infilato tra i maledetti come Van Gogh, Modigliani, Caravaggio e tanti altri.
Trasgressivo lo era. I suoi magnifici disegni con tenere bambine nude, donne libere e sensuali con calze e stivali a coprire solo un pezzo di gamba, gli avevano procurato nel 1912, a ventidue anni, un’accusa grave da parte di un certo Von Mossig, ufficiale della marina in pensione. Schiele era stato incolpato di averne sedotto la figlia, una ragazzina neppure quattordicenne. Tre settimane nella prigione di Neulengbach, tra maggio e aprile, un diario disperato contro l’ingiustizia subita, e infine l’assoluzione per non aver commesso il fatto.
Ma i suoi disegni, no, quelli non erano stati assolti. Anzi il giudice, prosciogliendo l’artista dall’accusa più grave, aveva bruciato di fronte a tutti uno dei suoi schizzi, vere cause dello scandalo. Il pittore ricorda il fatto nel diario scritto in carcere: «Durante l’udienza, uno dei miei disegni confiscati, quello che avevo appeso nella mia stanza da letto, venne bruciato solennemente, dal giudice paludato nella sua toga, sulla fiamma d’una candela! Autodafé! Savonarola! Inquisizione! Medioevo! Castrazione, ipocrisia! Su, andate nei musei allora, e tagliate a pezzetti tutti i più grandi capolavori d’arte. Chi ripudia il sesso è un individuo sporco che diffama nella maniera più volgare i propri genitori che lo hanno generato».
Nell’Austria perbenista del tempo non si accettava l’arte nuova della Secessione, ma Schiele faceva parte di quella Vienna dalla cultura fervida e vivace, che vedeva all’opera grandi architetti come Otto Wagner e Adolf Loos, pittori come Klimt e Kokoschka, filosofi come Freud, che per la prima volta indagava nella psiche umana. Ed anche lui, Schiele, cercava di scrutare l’animo degli uomini. Lo faceva con matita e pennello, alla ricerca delle pulsioni più profonde fisiche e spirituali, nascoste dentro quei corpi di ossa e poca carne.
Lo raccontano gli impressionanti autoritratti, i ritratti degli amici, le figure di modelle e amanti, i paesaggi freddi e mortuari creati con un particolare cloisonnisme, fatto di geometrie ossessive, righe e scacchi colorati simili alle vetrate dipinte di antiche cattedrali. Alcuni esposti nella mostra «Schiele e il suo tempo», aperta da domani (fino al 6 giugno) a Palazzo Reale di Milano. Promossa dal Comune di Milano in collaborazione con il Leopold Museum di Vienna (catalogo Skira), la rassegna riunisce attorno a una quarantina di dipinti e disegni di Schiele, quelli di importanti protagonisti della Secessione e dell’Espressionismo austriaco, come Klimt, Kokoschka. Moll, Moser ed altri. Si tratta di opere provenienti dal Leopold Museum di Vienna, che possiede la più grande collezione di dipinti e disegni di Schiele. A fondare questo museo, specializzato nell’arte austriaca tra Otto e Novecento, è stato nel 2001 il medico oculista Rudolf Leopold, nato a Vienna nel 1925, appassionato di pittura, tanto da collezionare ben 5400 opere di arte moderna del suo Paese.
Maurizia Tazartes da ilgiornale.it
Lontana è Milano dalla mia terra…
Così cantava il bolognese Dalla nei ’70, ma anche Bologna non scherza mica!
Chi viaggia spesso ormai ci avrà fatto (purtroppo) l’abitudine, ma, rispetto a 10 anni fa non sono raddoppiati solo i prezzi delle merci, ma anche i tempi di percorrenza delle strade. Incidenti, lavori, code e tutti che viaggiano incollati paraurti conto paraurti su entrambe le corsie dell’autostrada senza rispettare la distanza di sicurezza (cos’è?).
Autocarri che suonano per sorpassarti per poi piazzarsi immediatamente davanti a te e rimanerci; in città è tutto uno sgusciare a destra e a sinistra per guadagnare qualche metro, parcheggi segnalati una volta e poi più, i cartelli posti regolarmente DOPO gli incroci (tanto avranno tutti il navigatore satellitare immagino).
Totale 135 minuti per percorrere 60 km ( e forse qualche velox in un rettilineo di campagna avrà ritenuto la velocità eccessiva!).
Bologna è stata la prima città europea cablata e adesso ha anche il Wi-Fi in centro, il problema è arrivarci!
Riferimenti: Il sindaco con Philippe Daverio