
Non scriverò una delle tante accorate e pur lecite lettere del tipo “Caro Signor ministro, sono una pensionata… (o imprenditore, o insegnante, o manovale)”. La scrivo a voi che mi leggete.
Ho aperto la mia attività trentatré anni fa, dal niente, indebitandomi e facendo tutto quello che potevo da solo, o meglio in due, dall’arredamento alla camera oscura, compreso vivere in un buco malsano infestato da topi e scarafaggi. L’affermazione che abbiamo avuto è stata unicamente questione di capacità personale e professionale, non di aiuti o connivenze. Ricorderò sempre le parole del direttore della Banca Agricola Mantovana di Mirandola, che ad estinzione del debito con conseguente mio passaggio ad una banca di Finale disse: “Bene, Goldoni, ce l’abbiamo fatta… peccato che ci lasci, però… avevamo tirato avanti la baracca fino ad adesso…” Io l’ho fermato subito: “Prego? IO ho tirato avanti la baracca… e se non ci fossi riuscito, i guai erano solo miei, e lei non avrebbe perso i soldi della fideiussione… ma che cosa mi sta dicendo?” Lui, che non se lo aspettava, rispose “Certo, certo, lo sforzo più grosso l’ha fatto lei…” “Eh, no! L’ho fatto tutto io, lo sforzo, caro signore. E visti i suoi commenti chiudo i nostri rapporti anche più volentieri”. Avevo cominciato a capire come funziona il mondo.
Ora, dopo tanti anni di crescita, seppur lenta e stentata, sto assistendo al declino della mia professione, della mia attività, del mio paese, dell’Italia. Un senso di rabbia e di impotenza che tutti conoscete, reso ancor più forte dalle recenti parole di un sottosegretario: “Il tempo del lusso è terminato”. Non me n’ero accorto. Chi è al potere continua a mantenere privilegi indecenti, e quel che si toglie pubblicamente se lo riprende nascostamente. Qui di lussi non ne vedo, signor Catricalà: e quel che ammiriamo tutti i giorni lo può vedere anche lei in video e foto, senza doversi scomodare a venir qua e pigliarsi i dovuti insulti. Se chiediamo un rinvio delle tasse (un rinvio, badi bene) non è perché siamo sfaticati, furfanti o evasori, lei lo sa ma fa finta di non saperlo. Non aiutarci a risollevare questa zona, di cui non sto a ricordare la produttività e l’ormai proverbiale tirarsi su le maniche, significa non vedere più lontano del proprio naso, e questo ben si adatta alla sua condizione, che tanto il culo nel burro, come diciamo noi, lei ce l’ha sempre avuto e ce l’avrà sempre. A lei come a tutti gli altri non importa niente del futuro del Paese. A noi invece importa moltissimo del futuro del nostro paese, minuscolo come la p che porta. Pagare le tasse dopo qualche mese è già qualcosa, anche se è ben poco rispetto a quel che la situazione richiede. Io ho avuto pochi danni alla struttura della casa e del negozio, ma come tutti noi (con poche eccezioni) ho avuto danni che non si misurano in crepe o cedimenti. E’ questo che non volete capire, o che capite benissimo ma non dite mai. Per esempio mi chiedo perché dovrei pagare una tassa (che sarà, pare, enormemente aumentata), per una casa, un negozio, un edificio che aveva già poco valore prima e che ora nessuno vuol comprare se non a prezzi indecenti. Se si parcheggia abusivamente nel posto riservato ai disabili, può capitare di trovarsi sul parabrezza un bigliettino che dice “Vuoi il mio posto? Prenditi il mio handicap”. Lo stesso vale per i nostri immobili, e per le nostre attività: volete i nostri soldi? Prendetevi il nostro handicap, perché di soldi non ne abbiamo più, e anche avendone non ve li vogliamo più dare. Siete riusciti a mettere anche me nella sgradevolissima condizione di aver voglia di andarmene via, combattuto tra il desiderio di mollare tutto e quello di restare a combattere una battaglia che, almeno dal punto di vista politico, sembra persa in partenza. E parlo di me, che ho ancora spalle abbastanza larghe e cultura ed esperienza sufficiente per provare a lasciare tutto alla lotta tra chi vuol mandare l’Italia in malora per il proprio personale squallido interesse e quelli che tra un po’, non potendo tirar fuori altri soldi, tireranno fuori i forconi.
Non faccio del mio paese un’isola felice. Anche qui gli amministratori hanno blaterato e non fatto, e si sono spartiti privilegi. In piazza incrocio persone che ci hanno amministrato per anni, adattando ogni volta la casacca, e che stimo meno di uno sputo per terra. E ci manca poco che faccia i nomi, per quanto possa importare. Non voglio affrontare qui la questione se il paese, con la p minuscola e maiuscola, sia o no migliore di chi lo rappresenta: dico che chi ci governa non è stato votato che da una minima parte degli elettori, e che questa classe politica non rappresenta me e tanti come me.
Divido i rifiuti per bene, l’organico, la carta, la plastica, e sto attento a non mischiarli tra loro. Pago quel che mi dicono di pagare, un po’ perché è giusto, un po’ perché non posso fare altro. Per ora. Ma ogni volta che vado ai cassonetti (sempre più indecenti, tra l’altro, e non perché siamo terremotati) penso ai ministri, ai sottosegretari, alle giunte regionali, allo sperpero e all’accaparramento, alla distruzione sistematica dell’ambiente, della cultura, della dignità di un popolo, penso a a me col secchiello dell’umido in una mano e il sacchetto di plastica nell’altra, e il pensiero di tirargli quella spazzatura in faccia è il più modesto che ho.
Maurizio Goldoni