Servono strumenti più adattabili alle singole esigenze il registro elettronico e un’autonomia depotenziata
VALENTINA CANNAVÒ*, MANUELA DELFINO* E SARA URGEGHE*
La dettatura di compiti e comunicazioni nella quotidianità della vita scolastica sembra diventare una pratica residuale, tenuta in vita da insegnanti che cercano di insistere sulla responsabilizzazione degli studenti, sulla necessità che siano consapevoli di ciò che li riguarda in prima persona e, non ultimo, sull’esercizio a tenere una penna in mano per registrare impegni e scadenze e per tenere traccia delle informazioni relative alle prove svolte in aula.
Il registro elettronico contrasta questa pratica. Facendo leva sul bisogno degli adulti di un’informazione precisa, completa e puntuale sulla vita scolastica dei figli, il registro elettronico consente di recuperare in qualunque luogo e momento una completezza dell’informazione che, invece, il diario restituisce spesso in modo frammentato e incerto. Tra il compito scritto a mano dallo studente e quello assegnato dal docente al computer le differenze non riguardano solo la completezza e la com
prensibilità dell’informazione, quanto l’autorevolezza della fonte, priva di mediazione.
Il rischio è che la voglia di occuparsi dei figli sfoci nell’intromissione all’interno di una relazione tra gli studenti e i docenti, per degenerare nella deresponsabilizzazione.
Nelle scuole del I ciclo, chiamando in causa una maggior efficacia comunicativa e l’ottimizzazione del tempo scuola, rinunciamo a insegnare come (e in quali pagine) scrivere i compiti sul diario ed eventualmente come te nere traccia di quelli già svolti e finiamo, così, con il passare letteralmente sopra le teste degli alunni in un dialogo, spesso solo virtuale, tra adulti. Nelle scuole del II ciclo, limitiamo i margini di libertà degli studenti, tracciando in tempo reale la loro presenza nei locali della scuola.
A farne le spese è il processo stesso di crescita dei ragazzi quanto ad autonomia e responsabilità. Diamo per scontato che i genitori ricevano le informazioni senza che i figli debbano più fare da tramite, non pretendiamo che i ragazzi si esercitino nel riportare (e comprendere) avvisi e comunicazioni, affidiamo allo strumento digitale la rivelazione alle famiglie di assenze, valutazioni o note disciplinari.
Per quanto non sarebbe onesto attribuire ai registri elettronici responsabilità e colpe degli adulti, è evidente come nei registri elettronici convergano e trovino una cassa di risonanza problemi e nodi irrisolti della scuola e delle sue regole. Questo è particolarmente evidente con il tema della valutazione.
Pensiamo alla prima pagella di un bambino che abbia finito il primo quadrimestre di una prima classe della scuola primaria. A dispetto del richiamo all’unitarietà dei processi di apprendimento (cfr. Indicazioni nazionali 2012), ma soprattutto a dispetto del buon senso, questo bambino riceverà una scheda di valutazione frammentata in 10 voci afferenti a discipline che difficilmente sono in grado di proporsi come chiave di lettura dei progressi compiuti nei primi mesi di scuola, ma che dovrebbero essere riconducibili ad abilità di base connesse con la letto-scrittura.
Laddove esista un’idea di scuola e ci sia un messaggio coerente e chiaro tra docenti, alunni e famiglie, la frammentazione imposta dal modello valutativo ministeriale diventa marginale rispetto al percorso didattico e pedagogico. Ma non sempre è così. E la presenza di un voto in numeri rischia di complicare il delicato
processo valutativo, trasformandosi da elemento in grado di “attribuire valore” a sentenza lapidaria spesso effetto di una mancata presa di posizione rispetto alla media matematica risultante dal voto attribuito nelle singole prove.
Abrogato con la L. 517/1977, ricomparso con la L. 169/2008 (di conversione del D.L. 137/2008), il voto numerico espresso in decimi è stato confermato nel D. Lgs. 62/2017, dal primo anno della primaria all’ultimo della secondaria di II grado.
Quel lavoro certosino di paziente correzione di errori e di incoraggiamento rispetto alle conquiste degli studenti trova traduzione in valutazioni che talvolta rasentano il ridicolo: pensiamo all’attribuzione di voti come 6/2,7/8, 9- a bambini che non conoscono il significato di una frazione o a studenti che hanno imparato che per alcuni docenti 9- vale di più di 8/9.
L’attuale sistema valutativo – e l’interpretazione poco accorta da parte di alcuni docenti – diventa nei registri digitali quasi un elemento di perversione.
Esistono in commercio prodotti che di default colorano il voto (verde sufficiente, rosso insufficiente). Contro quello che è il messaggio pedagogico di ogni insegnante o genitore (“avresti potuto fare molto di più”), le ditte si arrogano il diritto di decidere con un codice semaforico binario non personalizzabile se una prova sia andata bene o male.
Esistono in commercio registri che forniscono la media dei voti assegnati e l’andamento. È chiaro che qualunque ragazzino – non dobbiamo scomodare i grandi – sia in grado di svolgere questo calcolo, ma siamo certi che faccia bene alla complessità del processo valutativo mostrare un 6,35 o un 5,51? Di fronte a queste medie già calcolate, quanto i docenti si sentiranno liberi di modificarle, per esempio trasformandole rispettivamente in un 7 (regalando ben più
di mezzo punto) o in un 5 (eliminando poco più di mezzo punto)? Si preoccuperanno di essere accusati di fare dei favoritismi, o di penalizzare, invece di restituire la complessità di un andamento?
Il registro elettronico rischia di enfatizzare la centralità del numero a discapito del percorso di apprendimento.
Rischia inoltre di creare una separazione tra il voto, ciò che lo ha generato e ciò cui dovrebbe portare. Infatti, se non abbiamo l’accortezza di restituire le valutazioni ai ragazzi in presenza, prima che siano visibili sul registro elettronico, finiamo con attribuire importanza ad un numero che non è più fisicamente vicino al compito, all’esercizio, al momento da cui è scaturito; un numero separato da segnalazioni di errori, da correzioni, da esclamazioni di soddisfazione di fronte a soluzioni creative o brillanti. Il messaggio valutativo si comprime intorno ad un numero che da solo non fornisce l’occasione di fare passi avanti.
Spesso vediamo ragazzi che consultano ossessivamente l’applicazione sul telefonino alla ricerca degli ultimi voti inseriti e delle medie evidenziate, ma che seguono distrattamente la restituzione del significato che abbiamo attribuito a quei voti.
Con un eccesso di enfasi sugli aspetti quantitativi (decisamente più facili per l’elaborazione da parte di un calcolatore e per l’implementa zione da parte dei programmatori), molti dei registri in circolazione presentano rigidità tali da inibire spesso la ricerca di nuove soluzioni a problemi valutativi. Si ha la sensazione che una struttura informatica nata lontano dalle aule dei docenti non riesca a intercettare fino in fondo i bisogni degli stessi, soprattutto laddove la valutazione è frutto di costanti scambi di idee, interrogativi, intenzionalità comunicative verso gli studenti. Come posso restituire attraverso un numero la complessità delle riflessioni che lo accompagnano?
Tuttoscuola n.590