Davide Formenti

Carissimi Lettori,

Il signor Lonicera, il professor Rauris e tanti altri personaggi vi aspettano per darvi una lettura del futuro prossimo a venire… dimenticavo, la ragazza che fa le bolle in copertina è seduta su Ofelia, un gran bel pezzo di nutria… vi chiederete che ci fa una nutria in un racconto di fantascienza… venite alla presentazione e lo scoprirete.

Giardini estensi

Da Sabato 30 Aprile a Domenica 01 Maggio 2022 – dalle ore 10:30
Ferrara (FE)

Giardini Estensi - Ferrara

Giardini Estensi a Ferrara
In Primavera e Autunno torna la Rassegna Florovivaistica 30 aprile 1 maggio 2022

Un contesto ideale per agli affezionati del verde e della sostenibilità ambientale; una sede prestigiosa come quella di Parco Massari dove il visitatore viene accolto dai due secolari Cedri del Libano, in un contesto di pregiate essenze arboree. Da decenni il parco è luogo privilegiato dai ferraresi per immergersi nella bellezza a contatto con la natura, intere generazioni di bambini hanno giocato fra siepi di bosso e maestosi tronchi.

L’edizione autunnale di Giardini Estensi propone eccellenze florovivaistiche frutto della collaborazione con oltre cento aziende agricole provenienti da varie parti d’Italia. Gli stands d’artigianato a tema faranno da complemento alla fiera proponendo sorprendenti novità. Un appuntamento per curiosi e turisti per scoprire in bicicletta i giardini storici della città patrimonio UNESCO, mescolarsi nella babele delle oltre cento bancarelle ricche di fiori e profumi frutto del lavoro di veri e propri produttori di essenze vegetali.

Info: Associazione Ferrara Pro Art  tel. 0532 1862076 – 347 1472203 – Tutti gli aggiornamenti sulla pagina fb

Informazioni:
http://www.facebook.com/giardiniestensi2017
http://www.ferraraterraeacqua.it

Ultimi giorni

Un doveroso tributo del MAF a Vito Tumiati, che con tenace continuità ha mantenuto viva una disciplina artistica raffinata e appartata, ma densa di storia e di sfumature, tutte da apprezzare prendendosi le necessarie riflessioni. Il MAF ricorda che l’autorevole incisore ha pure dedicato una apprezzabile e qualificata attenzione al paesaggio e alla ruralità della sua terra.

La mostra è a cura di Corrado Pocaterra. L’omaggio a Tumiati, al quale è stato assegnato il Premio MAF 2017, coincide con la pubblicazione del catalogo generale della sua opera grafica (incisioni dal 1971 al 2018) ed è inserito in un percorso espositivo che prevede pure la presenza di altri artisti incisori operanti a Ferrara, che hanno tenuto alto il nome dell’arte incisoria ferrarese: Enzo Baglioni, Nemesio Orsatti e Marisa Carolina Occari.

Dove

Maf-Centro di Documentazione del Mondo Agricolo Ferrarese – Via Imperiale 265 – San Bartolomeo in Bosco (FE)

Quando

dal 13 marzo al 18 maggio 2022

Orari

da martedì a venerdì 9.00-12.30; domenica e festivi 15.30-18.30.

Giorni di chiusura

  • Lunedì
  • Sabato

Url dell’evento

http://www.mondoagricoloferrarese.it/

Tariffe

Ingresso libero

Contatti

MAF – Centro Documentazione Mondo Agricolo Ferrarese – Via Imperiale 263 – S. Bartolomeo In Bosco

phone 0532 725294; 339 6329016

mailinfo@mondoagricoloferrarese.it

web sitehttp://www.mondoagricoloferrarese.

Sereno variabile

Esiste una correlazione tra le due improvvide decisioni. Per armarsi seguendo la volontà del padrone a stelle e strisce, proseguendo in una politica inesistente e servile, non occorre grande cultura. Per svolgere le mansioni assegnate –  camerieri o addetti al catering, anche bellico- basta un’istruzione sommaria. Si può affermare che l’Italia investe sull’ignoranza dei suoi giovani, tenacemente perseguita da decenni di incuria, innumerevoli fallimentari riforme scolastiche e, soprattutto, di clamorosa indifferenza nei confronti della cultura, il più rilevante patrimonio immateriale della nostra nazione.

Viene in mente la lirica del ventenne Giacomo Leopardi all’Italia: “vedo le mura e gli archi e le colonne, ma la gloria non vedo”. Due secoli dopo, le vestigia sono nascoste dagli orrendi parallelepipedi del centri commerciali e i muri imbrattati da improbabili geroglifici, le prestazioni di sedicenti artisti di strada. La bruttezza ha conquistato il Bel Paese- ridotto a marca di formaggio – sulle ali di un’ignoranza soddisfatta di sé, segno di un popolo imbarbarito che ha sostituito il look alla bellezza trasmessa dai padri.

Per le giovani generazioni italiane- le ultime di un popolo in estinzione? –  vediamo tre alternative. La prima riguarda il gregge: accettare la situazione e, all’italiana, cercare di trarne profitto personale. E’ la regola da otto secoli, da quando ci dividemmo tra Guelfi e Ghibellini per conto di stranieri.  La seconda, triste ma inevitabile, è emigrare, riprendere in mano il proprio destino rompendo con una nazione morente, indifferente ai suoi figli, disinteressata a riprodurre se stessa e trasmettere i tesori ricevuti di civiltà, conoscenza, cultura, prosperità a generazioni capaci di ridar loro vita. La terza opzione è lottare, da posizioni di minoranza – estrema, incompresa, spesso ridicolizzata- per rendere testimonianza a chi ci sostituirà come abitatori di questa piccola penisola. Non tutti vollero cancellare l’Italia, la cultura, il suo popolo, la sua lingua, il suo specifico ruolo nel mondo. Non tutti investirono sulla fine, l’oblio e l’ignoranza. Forse a qualcuno interesserà, domani o dopodomani. Oggi, non resta che stringere i denti, non cedere allo scoraggiamento, non contribuire al deserto che avanza.

L’articolo Se l’Italia investe nell’ ignoranza proviene da Blondet & Friends.

Ponte sul Panaro (storia)

Di un collegamento stabile fra Bondeno (centro Storico) e Borgo San Giovanni
(l’abitato posto sulla sponda destra del Panaro) hanno parlato alla fine del
Settecento i cronisti bondenesi V. Cottica e M. Nannini precisando che
anticamente fra le due sponde esisteva un ponte di pietra, distrutto in epoca
imprecisata dalle armate che hanno occupato il paese, le cui pile, ancora visibili
sul fondo del fiume alla fine del Settecento sono state inghiottite dalle torbide
del Panaro. In corrispondenza dell’anno 1502, il “Libro dei Privilegi” del
comune fornisce il testo del mandato col quale i fattori generali del duca di
Ferrara hanno incaricato certo Simon Cavallaro di trasferire da Modena a
Bondeno dieci travi di legno necessarie per la costruzione del ponte del paese.
Un articolo scritto nel 1889 da A. Bottoni riporta che il ponte costruito al
tempo degli estensi è stato disfatto nel Seicento perché in pessime condizioni
di manutenzione e di fronte all’incapacità di ricostruirlo, il collegamento fra le
due sponde è stato realizzato con un ponte su barche dalla famiglia Pio, peraltro
titolare di un diritto di feudo “Ad usum regni”, accordato alla medesima
nell’anno 1627 dal Pontefice Urbano VIII.
Nell’anno 1760, le aumentate esigenze di collegamento fra le due sponde del
fiume hanno indotto il comune a realizzare un nuovo ponte in muratura su tre
archi, sulla base di un progetto elaborato dal ferrarese A. Baruffaldi, con una
spesa di scudi 10.102 e bajocchi 51. La nuova struttura, lunga 35 metri e larga
8, a causa di un difetto di costruzione e di un’anomalia del terreno sul quale
appoggiava il pilone sinistro, nell’ultima decade dell’Ottocento, quando ponte
e strade di raccordo erano passati fra le competenze dell’Amministrazione
Provinciale ha dovuto quindi essere sostituito con un ponte in ferro, appoggiato
su piloni in muratura. La nuova opera, con una luce di metri 60 ed una
carreggiata di metri 8, è stata realizzato nel primo semestre del 1898 dalla
Società Nazionale Officine di Savigliano di Torino con una spesa di Lire
225.000 (corrispondenti a Lire 1.434.262.005 dell’anno 2000), alle quali furono
aggiunte ulteriori 480.000 lire per la costruzione delle due rampe di accesso e
la demolizione del ponte in muratura, lavori questi affidati all’imprenditore
bondenese Alessandro Medini. Il ponte in ferro, che con l’arcata di metri 7,50
nel punto più alto costituì l’orgoglio dei bondenesi della prima metà del
Novecento, il 22 aprile 1945 è stato però fatto saltare dalla truppe tedesche in
ritirata nel vano tentativo di contrastare l’avanzata dell’esercito alleato.
Immediatamente dopo la “Liberazione”, operai diretti dal Comitato di
Liberazione Nazionale, ripristinarono il collegamento fra le due sponde del
Panaro mediante una passerella su barche per rendere accessibili l’Ospedale
ed il Camposanto ai bondenesi del centro storico ed il Municipio, le scuole ed
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i mulini a quelli della sponda destra. Il disagio imposto alla cittadinanza dalla
struttura provvisoria e l’impossibilità di utilizzarla sia per i trasporto che per
sostenere la condotta dell’acquedotto hanno spinto l’Amministrazione
Comunale ed il C.N.L. a rivolgere, fin dal 28 luglio 1945, la richiesta di un
nuovo ponte all’Amministrazione Provinciale. Il ponte provvisorio, come sarà
chiamato, che smentendo la provvisorietà è rimasto onorevolmente in esercizio
fino al 1976 è stato costruito su progetto dell’Ingegner A. Bonora, impiegando
l’acciaio del ponte fatto saltare dai tedeschi e quanto è stato possibile recuperare
dalla dismesse aviorimesse dell’aeroporto di Ferrara. Appoggiato sulle
fondazioni dei piloni in muratura del ponte del 1760 è stato aperto al traffico
nella primavera del 1946, limitatamente ai mezzi con peso complessivo non
superiore a 15 Tonnellate. L’Amministrazione Provinciale di Ferrara, frattanto,
fin dagli inizi degli anni Settanta, avvalendosi dell’indennizzo dei danni di
guerra, ricevuto come corrispettivo per la distruzione del ponte in ferro fatto
saltare dai tedeschi ha costruito un nuovo ponte più a monte di quello
provvisorio, collegato con le strade esistenti mediante un nuovo tracciato di
poco superiore al chilometro per evitare che i mezzi provenienti da Ferrara e
diretti verso il mantovano e viceversa fossero costretti ad attraversare l’abitato
di Bondeno. La stessa amministrazione, il 9 aprile 1971, sulla base di una serie
di saggi e perizie compiute sull’impalcato e sulle strutture portanti del ponte
provvisorio costruito nel 1945 ha trasferito lo stesso al comune di Bondeno
decretandone però la chiusura. Il provvedimento ha provocato le comprensibili
proteste dei bondenesi di entrambe le sponde del fiume, per cui
l’Amministrazione Comunale, tramite il sindaco Nino Bergamini è stata suo
malgrado costretta a farsi carico del nuovo problema, risolto con la decisione,
coraggiosa per il notevole impegno tecnico e finanziario, di costruire un nuovo
ponte in muratura in sostituzione di quello provvisorio ed in attesa della nuova
struttura, riaprire il ponte provvisorio con circolazione a senso unico alternato
regolata da un semaforo e limitazione di peso a dieci quintali e sagoma a due
metri. La scelta del progettista di un’opera tanto impegnativa sul piano tecnicourbanistico,
da inserire nel tessuto già esistente nel rispetto dei nuovi vincoli
imposti dalle leggi del fiume (aumento di quasi due metri delle sommità arginali,
compiuto dopo la “Rotta del Po del 1951”), ha spinto l’Amministrazione
Comunale a contattare l’Ingegner Carmelo Galeotti, appartenente all’ufficio
tecnico dell’Amministrazione Provinciale e membro della commissione
incaricata a suo tempo di verificare la stabilità del ponte provvisorio, che dopo
un’accurata ricognizione dei luoghi ha proposto la soluzione ritenuta più idonea.
Acquisiti i dati più importanti (posizione del ponte da costruire, adeguamento
della viabilità esistente alle nuove quote indicate dall’Ufficio del Genio Civile
e tipo della struttura in grado di rispondere ad esigenze tanto diverse) è stata
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decisa la scelta del progettista nella persona dell’Ingegner Pier Vincenzo Righi,
docente di scienze delle costruzioni presso l’Università di Bologna, mentre
all’Ingegner Galeotti che tanto proficuamente aveva collaborato col comune,
è stato affidato il compito di collaudatore in corso d’opera.
Il Consiglio Comunale, nella seduta del 14 giugno 1973 ha esaminato ed
approvato il progetto con un impegno di 158 milioni di lire, ad intero carico
del bilancio comunale, ma gli ostacoli da superare erano appena iniziati. Infatti,
il 24 marzo 1974, l’asta bandita per l’affidamento dei lavori è andata deserta
perché oramai era in atto l’ascesa dei prezzi innescata dall’aumento dei prodotti
petroliferi e la successiva asta, con offerte in aumento rispetto alla prima, si è
svolta il 23 novembre 1974 con aggiudicazione dei lavori all’impresa Giuseppe
Sarti & C di Ferrara, con aumento sul prezzo base d’asta del 97,60 per cento.
Consegnati i lavori il 18 giugno 1875, gli stessi si sono conclusi il 30 settembre
1976 con una spesa che ha portato il costo complessivo a Lire 340.364.800 fra
opera principale e lavori di completamento.
Il nuovo ponte, lungo metri 58,50 (metri 23,50 in più rispetto a quello costruito
nel 1760), comprende il piano viabile di metri 7,50 più due marciapiedi rialzati
larghi metri 1,20 ed appoggia su pile in calcestruzzo armato realizzate con
colonne del diametro di metri 1,20, lunghe metri 35, interamente fondate per
le spalle e di metri 28 per quelle centrali. Per garantire un giusto margine di
sicurezza fra le sottotravi che sorreggono il piano stradale e la quota di massima
piena del fiume è stato necessario portare la quota dell’opera finita ad un
maggior livello rispetto a quello del ponte del 1945 e cioè realizzare la quota
di sottotrave a metri 17,05 sul c.m. e quella del piano viabile a metri 18,60 col
conseguente inasprimento delle rampe di collegamento con la viabilità esistente.
La fisionomia generale della zona ha subito pertanto un ulteriore mutamento,
imposto dalla legge del fiume che, lentamente ma continuamente, ha spinto
gli argini a quote sempre più alte, ponendo nuovi problemi per la sicurezza, il
traffico e l’erogazione dell’acqua. E quella legge ha voluto essere a suo modo
rappresentata su una delle colonne portanti della grande struttura. Un pescatore
di Borgo San Giovanni infatti, a bordo di una piccola barca, nel momento
peggiore della grande piena che ha avuto luogo nell’anno 2000 ha tracciato
con mano malferma su una delle colonne un segno nero e la cifra 2000, nel
punto più alto raggiunto dall’acqua in quell’occasione, che prossimo
all’intradosso, ricorda anche al passante più distratto dove si è spinto il fiume.
L’inaugurazione ufficiale dell’opera, onore e vanto di un’Amministrazione
Comunale che ha avuto il coraggio di mantenere il collegamento urbano più
antico fra le sponde del Panaro attraversante il paese è stata compiuta senza
clamori il 10 ottobre 1976, con l’apertura dei festeggiamenti organizzati per
la Fiera di Ottobre.

Comune di Bondeno

Archeologia della TV

Le trasmissioni televisive regolari in Italia ebbero inizio il 3 gennaio 1954 ed il 4 giugno di quello stesso anno Guala venne nominato amministratore delegato della RAI con pieni poteri, affiancato da Giovan Battista Vicentini, ex dirigente della Cereria vaticana ed ex presidente dell’Azione Cattolica, in qualità di direttore generale.

Guala gestì la RAI con una grande apertura da un punto di vista tecnico, ma con una rigida visione cattolica. Impose in azienda anche un severo codice d’autodisciplina, rivolto ad autori, giornalisti e agli stessi uomini di spettacolo, compilato dal “Centro Cattolico Cinematografico” sulla falsariga dell’analogo codice Hays per il cinema negli Stati Uniti d’America.

Nel codice si leggeva, tra l’altro: “Non è consentita la rappresentazione di scene e vicende che possano turbare la pace sociale o l’ordine pubblico. L’incitamento all’odio di classe e la sua esaltazione sono proibiti. Sabotaggi, attentati alla pubblica incolumità, conflitti con le forze di polizia, disordini pubblici possono essere rappresentati con somma cautela e sempre in modo che ne risalti ben chiara la condanna. Dovranno essere escluse le opere di qualsiasi genere che portino discredito o insidia all’istituto della famiglia, risultino truci o ripugnanti, irridano alla legge, siano contrarie al sentimento nazionale. Quanto alla famiglia, deve aversi particolare riguardo per la santità del vincolo matrimoniale e per il rispetto delle istituzioni, e pertanto: il divorzio può essere rappresentato solo quando la trama lo renda indispensabile e l’azione si svolga ove questo sia permesso dalle leggi; le vicende che derivano dall’adulterio e con esso s’intrecciano non devono indurre in antipatia il vincolo matrimoniale; attenta cura deve essere posta nella rappresentazione dei fatti o episodi in cui appaiono figli illegittimi”.

Era stato inoltre diffuso al personale incaricato della programmazione radiofonica e televisiva un elenco di parole proibite e dunque impronunciabili in televisione: fra le quali “membro” (non si poteva neanche dire “membro del Parlamento”), “seno” (neppure in senso figurato, come “in seno all’assemblea”), “parto”, “vizio”, “verginità” e “alcova”. Le parole “gravidanza” e “suicidio” dovevano essere rispettivamente sostituite da “lieto evento” e “insano gesto”, ed inoltre non era consentito usare termini quali “cancro” o “tumore”, ai quali doveva essere sempre sostituita l’espressione “male incurabile”. Alcune di queste norme rimasero in vigore fino agli anni ’70.

Inoltre, durante la gestione di Guala, non mancarono casi di personaggi televisivi, anche famosi, che vennero letteralmente “banditi” dal piccolo schermo a causa della loro poca disponibilità ad attenersi alle rigide norme sopra citate o, nel caso di personaggi femminili, semplicemente a causa della loro avvenenza. Fu Guala a cacciare via Alba Arnova, moglie del direttore d’orchestra Gianni Ferrio e famosa soubrette del “Teatro Colon” di Buenos Aires, rea di aver danzato ne “La piazzetta” indossando una calzamaglia chiara che poteva “evocare la nudità”. Per lo stesso motivo ai cameramen che effettuavano le riprese del programma televisivo “Casa Cugat”, presentato dall’allora famoso musicista e direttore d’orchestra cubano Xavier Cugat, venne imposto di inquadrare l’attrice e cantante Abbe Lane, allora moglie dello stesso Cugat, solo in primissimo piano allo scopo di occultare quanto più possibile le sue procaci forme ai telespettatori.

Nonostante ciò, si deve all’innato talento di Guala come talent scout l’ingresso in RAI di alcuni giovani intellettuali, alcuni dei quali laici e progressisti, come Furio Colombo, Emilio Garroni, Luigi Silori, che apportarono all’azienda una certa capacità innovativa nei contenuti e che andarono poi ad affiancarsi ad un gruppo di brillanti quadri neo-assunti, tutti insieme definiti “i corsari”.
Arrivano i “corsari” [modifica]

Nonostante la ristrettezza di vedute in materia di espressione del mezzo radiotelevisivo, fu proprio Guala, incaricato di gestire il trasferimento a Roma delle strutture di produzione della RAI, fino ad allora collocate a Torino, sede storica dell’EIAR, e a Milano, ad avere l’intuizione di introdurre “energie nuove” tra il personale dell’Ente radiotelevisivo, Venne così bandito un concorso pubblico al quale parteciparono circa 30.000 concorrenti, per l’assunzione di 300 giovani laureati, tra i cui vincitori vi furono personaggi in seguito divenuti molto noti in vari campi, quali Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Mario Carpitella, Enrico Vaime, Fabiano Fabiani, Piero Angela, Adriano De Zan, Emanuele Milano, Angelo Guglielmi, Folco Portinari, Gianfranco Bettetini. Questi giovani intellettuali, che si andarono ad affiancare ad un gruppo di giovani professori universitari (Piccioni, Silori, Garroni, Santoni Rugiu), tutti in seguito etichettati con lo scherzoso soprannome di “corsari”, in quanto destinati a seguire, dopo la selezione del concorso, un corso di formazione diretto da Pier Emilio Gennarini, avrebbero dovuto, nelle intenzioni di Guala, “svecchiare” il management della RAI, ancora troppo legato a personalità provenienti dall’EIAR, e a tutt’oggi sono considerati i veri costruttori della centralità della Rai nel sistema culturale italiano[1].

Tra i vincitori del concorso vi era anche lo scrittore Andrea Camilleri, che non venne però assunto perché ritenuto “troppo comunista” dallo stesso Guala[senza fonte].[2]
La “congiura dei mutandoni” [modifica]

La scarsa propensione di Guala ad accettare supinamente direttive e raccomandazioni da parte dei suoi “padrini” politici, la sua eccessiva rigorosità ed intransigenza, la sua ristrettezza di vedute e soprattutto la sua opposizione all’introduzione della pubblicità televisiva fecero calare rapidamente la sua popolarità in azienda. Inoltre, nonostante le sue indiscutibili capacità manageriali, egli non seppe trarre vantaggi per l’azienda da lui diretta quando, essendo stati in precedenza acquisiti dalla RAI vasti appezzamenti di terreno situati ai margini del quartiere Prati di Roma, alle pendici di Monte Mario, su parte dei quali verrà in seguito edificato il Centro di produzione RAI di via Teulada, Guala dette disposizione di vendere parte di quei terreni, che di lì a pochi anni avrebbero moltiplicato più volte il loro valore grazie all’incipiente “boom” edilizio, proprio per evitare “indebite speculazioni immobiliari” che secondo lui non si confacevano all’amministrazione di un ente pubblico.

L’arrivo in televisione di spettacoli di varietà con scenette di satira che dileggiavano, peraltro in maniera velata e alquanto bonaria, personalità della vita politica ritenute allora “intoccabili”, come ad esempio il ministro dell’Interno Scelba, alienarono ben presto le residue simpatie degli esponenti politici che in precedenza avevano appoggiato la nomina di Guala al vertice dell’Ente radiotelevisivo di Stato.

Venne quindi presa in alto loco la decisione di costringere Guala alle dimissioni, e ciò avvenne con la complicità di alcuni funzionari della RAI, scontenti per il trasferimento da Torino a Roma di quasi tutte le attività di produzione ed ideazione dei programmi, mediante una subdola macchinazione in seguito nota come “La congiura dei mutandoni”.

Grazie ai contatti tra Piazza del Gesù e il Vaticano, si venne a sapere che un certo sabato sera il Papa avrebbe guardato la televisione in compagnia dei suoi nipoti. Si presentò allora negli studi di via Teulada, poco prima dell’inizio dello spettacolo che andava in onda in diretta, un funzionario che ordinò alle ballerine di indossare delle calzamaglie di colore chiaro, in modo da farle apparire praticamente a gambe nude grazie alla scarsa definizione delle telecamere in bianco e nero dell’epoca. Apriti cielo! il Pontefice scandalizzato spense la TV e si ritirò in preghiera, e il lunedì successivo sull'”Osservatore Romano” uscì un corsivo assai critico contro il governo nel quale si sosteneva che le coreografie del varietà violavano i Patti Lateranensi. Guala raccomandò che nelle puntate successive le ballerine si rimettessero le sottane. Ma il sabato dopo un altro funzionario arrivò a via Teulada e diede disposizione alle ballerine di indossare mutandoni chiusi fino alle caviglie. L’indomani tutta la stampa laica sparò contro la RAI che prendeva ordini dal Vaticano. Vistosi messo alla gogna come unico responsabile di queste polemiche, e contemporaneamente “scaricato” dai suoi referenti politici, Guala rassegnò le dimissioni il 28 giugno del 1956.

Il destino manageriale di Guala non finisce con le sue dimissioni dalla RAI. Seguì nello stesso anno l’organizzazione dell’Esposizione “Italia ’61” a Torino, e ritornò all’INA-Casa per un breve periodo.
L’entrata in convento [modifica]

Guala aveva pensato spesso di prendere i voti sacerdotali ed intraprendere la missione religiosa, ma le sue varie vicissitudini gli avevano sempre imposto di rimandare questa scelta. Ne aveva a suo tempo parlato anche con Don Orione, il quale gli aveva detto che vedeva in lui un futuro sacerdote.

Nel 1960, a 53 anni di età, decise di farsi frate trappista, entrando nel convento delle Frattocchie l’11 novembre di quell’anno. Dopo il noviziato divenne trappista nel 1962 e nel 1967 fu ordinato sacerdote.

L’ultima iniziativa di un certo rilievo a cui Guala, ora divenuto frate, venne chiamato dal suo vecchio amico Franco Costa, nel frattempo arrivato al titolo di monsignore, fu la ristrutturazione del monastero della “Madonna della Fiducia” del Monastero di San Biagio di Morozzo (provincia di Cuneo), situato nei pressi di Mondovì.[3] In quel luogo Guala arrivò nel 1972 e visse da anacoreta fino al 1984 quando, giunto all’età di 77 anni, fu costretto a fare ritorno alle Frattocchie a causa di problemi di salute. Durante quel periodo il monastero divenne mèta di molti gruppi giovanili, ma anche di industriali, manager e finanzieri di primissimo piano che si recavano da Guala per un consiglio, una parola di conforto, un aiuto spirituale.

Il 27 novembre del 2000 la città di Torino gli conferì la cittadinanza onoraria. Un mese dopo, all’età di 93 anni, cessava di vivere.

da wikipedia