Fonte: Massimo Fini
Finalmente comincia a venire alla luce (ed è proprio il caso di dirlo, vedremo in seguito perché) il problema della denatalità. Se n’è accorto persino Federico Fubini in un editoriale, seppur molto arzigogolato, sul Corriere del 17 gennaio.
In Italia il tasso di fertilità per donna è di 1,3 (per arrivare a un pareggio demografico dovrebbe essere di 2, e qualcosina in più perché nel frattempo qualcuno, grazie a dio, muore). Siamo il Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone (dati Istat). Ma il problema, oserei dire il dramma, della denatalità e dell’invecchiamento non riguarda solo l’Italia ma tutto il mondo occidentale. Andando avanti di questo passo il mondo occidentale scomparirà a petto di quello mediorientale, arabo, islamico dove la fertilità per donna è del 2,5 o di quello nero africano dove le donne, nonostante tutte le difficoltà, continuano a fare figli (il tasso di fertilità è del 5).
All’origine di questo fenomeno di costante invecchiamento delle nostre società, che dovrebbe preoccupare un po’ più del Covid (anzi il Covid ha cercato, generosamente, di dare una mano) ci sono motivazioni culturali, sociali, economiche.
La prima è culturale. La donna di cultura occidentale pare essersi dimenticata di quella che è, antropologicamente, la prima delle sue funzioni: fare i figli. Nella grande storia antropologica dell’umanità (ma anche delle specie animali) la protagonista è la donna, proprio perché dà la vita, mentre l’uomo è solo un inseminatore transeunte. Lo dimostra anche una comparazione con il mondo animale. Il fuco più forte riesce a reggere la competizione con l’Ape Regina che lo porta ad altezze per lui insostenibili, la feconda, e poi muore perché la sua funzione finisce qui: l’Ape Regina è fecondata e piena di uova. La mantide religiosa subito dopo l’amplesso uccide, senza pietà, il suo amante perché il maschio ha esaurito la sua funzione: fecondarla.
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