Gli Istituti tecnici superiori costituiscono infatti il segmento di formazione terziaria non universitaria che risponde alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione. Rappresentano un’opportunità di assoluto rilievo nel panorama formativo italiano in quanto espressione di una strategia nuova fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali, con l’obiettivo di sostenere gli interventi destinati ai settori produttivi con particolare riferimento ai fabbisogni di innovazione e di trasferimento tecnologico delle piccole e medie imprese.
Le sei are tenologiche interessate sono: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie della vita, Nuove tecnologie per il Made in Italy (Sistema agroalimentare, Sistema casa, Sistema meccanica, Sistema moda, Servizi alle imprese), Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali –Turismo, Tecnologie della informazione e della comunicazione.
Accedono ai corsi, a seguito di selezione, i giovani e gli adulti in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e coloro che in possesso di un diploma quadriennale di istruzione e formazione professionale abbiano frequentato un corso annuale IFTS. Una buona conoscenza dell’informatica e della lingua inglese costituisce requisito preferenziale per l’ammissione ai percorsi. Vi è tuttavia la possibilità di frequentare moduli di specifica preparazione, finalizzati a riallineare le competenze mancanti.
Almeno il 30% della durata dei corsi è svolto in azienda stabilendo subito un legame molto forte con il mondo produttivo attraverso stage anche all’estero.
Il corpo docente proviene per almeno il 50% dal mondo del lavoro. I corsi si articolano di norma in quattro semestri (1800/2000 ore) e possono arrivare fino a sei semestri.
E così senza parere, in un colpo solo Draghi ha spazzato via annosi (e inconcludenti) dibattiti su Scuola e professione...(vuolsi così colà dove si puote ciò che di vuole, e più non dimandare): il significato in prosa è più o meno “Questa è la volontà di chi detiene il potere, non chiedere altro” (si vuol così là, dove si può). Nel linguaggio comune l’espressione viene usata per indicare (anche in maniera sarcastica) la volontà di qualcuno che non può essere messa in discussione, cioè l’ordine di un superiore che ha il potere ultimo di decisione, contro il quale ogni lamentela è inutile, sottintendendo quindi una gerarchia inoppugnabile. Il “colà” inteso come luogo dove si decide, assomiglia per analogia a quello dell’espressione della cosiddetta “stanza dei bottoni”.
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Se c’è un contesto nel quale colpe e responsabilità collettive e pubbliche vanno di pari passo con quelle individuali e personali, è quello se pensiamo alla demolizione della scuola pubblica e dei suoi valori, ai delitti commessi contro l’università convertita in diplomificio di specialisti inadeguati a fare qualcosa di più che applicare un algoritmo o premere un tasto.
https://ilsimplicissimus2.com/2021/02/20/la-tratta-dei-bancari/
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