Non sarà, a tal riguardo, sfuggito che pressoché ogni norma sanitaria introdotta nel quadro dell’emergenza Covid-19 era, insieme, medica e politica, senza che fosse possibile tracciare una netta linea divisoria tra il medico e il politico, tra l’obiettivo e il soggettivo. Il lockdown, il divieto di assembramento e il distanziamento sociale sono, chiaramente, norme sanitarie che, insieme, giovano a introdurre una specifica razionalità politica di tipo autoritario. Permettono, in altri termini, di occultare l’autoritarismo politico dietro il discorso medico, la limitazione delle libertà dietro la difesa della salute, la riorganizzazione verticistica in atto dietro l’esigenza di tutelare le vite di tutti e di ciascuno. Proprio in ciò si misurano la continuità e la differenza tra i vecchi regime autoritari novecenteschi e il nuovo ordine terapeutico instauratosi con l’emergenza del Coronavirus. Le dittature, sia rosse, sia nere, dovevano evitare in ogni modo assembramenti e associazioni, per evitare che il dissenso si organizzasse in forma corali. Mediante il “distanziamento sociale”, il dissenso resta “individualizzato” e, per ciò stesso, impotente, perché non in grado di tradursi in energia pratica rovesciante. Le vecchie dittature, dunque, dovevano mettere fuori legge gli assembramenti per tutelare se stesse e la propria tenuta. Il nuovo ordine sanitario del capitalismo terapeutico percorre una via decisamente più mediata e, per così dire, meglio meditata: se mette fuori legge assembramenti e incontri pubblici, lo fa – secondo il discorso del medico – non certo per tutelare se stesso, ma per proteggere le vite dei sudditi, ponendole al riparo dai contagi. Se l’altro diviene un potenziale e invisibile contagiato-contagiatore (asintomatico), è chiaro che per proteggere la vita di tutti e di ciascuno occorre impedire l’incontro e l’assemblea, la socievolezza e la comunità
Diego Fusaro
in https://www.ariannaeditrice.it/articoli/un-regime-a-fin-di-bene-70972
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