La Cineteca di Bologna
in occasione di Slow Food on Film
presenta
Bologna grassa
Il cibo a Bologna negli anni Cinquanta
Fotografie di Nino Comaschi, Aldo Ferrari, Foto Camera, Enrico Pasquali
Sala Espositiva della Cineteca di Bologna
via Riva di Reno, 72
fino al 19 giugno 2009
dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 17
Coordinamento generale: Giuseppe De Mattia, Anna Fiaccarini, Rosaria Gioia
Ricerche iconografiche, documentarie e di repertori: Giuseppe De Mattia, Rosaria Gioia
Progetto espositivo e allestimento: Archivio fotografico – Cineteca di Bologna
Elaborazioni grafiche: D-Sign
Stampe Digitali: Professione Colore Sas/ Elios Srl/ Studio Villani Srl
Stampa promozione: Tipografia Moderna – Bologna
Ufficio Stampa: Patrizia Minghetti (responsabile), Andrea Ravagnan
Promozione: Silvia Porretta
Elaborazione testi e didascalie: Alessandra Bani, Antonio Faeti, Alberto Fabbri, Rosaria Gioia
Elaborazioni grafiche didascalie: Enrico Bollino, Elena Cremonini
Novantanove scatti raccontano uno spaccato inedito e inconsueto della gaudente Bologna del dopoguerra. Il cibo, nella sue fasi di produzione artigianale e industriale, è protagonista dei fotogrammi in esposizione. Ad accompagnare i succulenti piatti e le sapienti lavorazioni della tradizione emiliano-romagnola sono scene di vita condivisa: il lavoro nei campi, la produzione della pasta fatta in casa e del vino, l’attività dei ristoranti e delle trattorie, i mercati e i venditori ambulanti. Il tutto è condito dal buon umore che solo il cibo sa regalare.
Il motto recita: dotta, grassa, rossa. In questo caso il focus è su Bologna la grassa. Siamo nei mitici anni Cinquanta, la guerra con i suoi carichi di tribolazione e dolore si è conclusa da poco e la città cerca anche attraverso il suo dna gastronomico di riaccendere l’antica e connaturata gioia di vivere. La bellezza di questa straordinaria mostra fotografica, arricchita dalle illustrazioni di Alessandro Cervellati, realizzata grazie agli “inesauribili” Archivi della Cineteca di Bologna, sta nel porre in evidenza tutta la filiera del cibo, dall’agricoltura, al lavoro di trasformazione e manipolazione delle arzdoure o degli artigiani manifatturieri, ai negozi alimentari per finire ai ristoranti.
La donna con il fascio di spighe guarda con un sorriso impercettibile il frutto di un raccolto che finalmente appare abbondante e consolante. I bambini seduti che mangiano gelati hanno gli occhi vispi e furbetti che forse i bambini iper-protetti di oggi hanno smarrito. La poesia delle persone che insieme guardano le prime trasmissioni “della terribile arma di Goebbels” per dirla con l’indimenticato Bonvi, con sopra la testa una distesa di salami che si asciugano al tepore del tubo della cucina economica o della stufa a legna, sono insieme l’espressione di una comunità dai tratti contadini marcati e dalla “naturale” predisposizione all’apertura verso il nuovo, oltre che verso i nuovi. Questo spirito di tolleranza, quasi sinonimo dell’essere petroniani, si coniugava allora senza dubbi e tentennamenti con la fiducia nel progresso. Oggi è d’attualità parlare di filiera, di mercato locale, di merci a chilometro zero. Questa mostra dimostra che questi obiettivi erano e sono stati “valori e sistemi economici” conosciuti nel nostro recente passato e che recuperarli ci riporta probabilmente a riappacificarci con maggiore serenità verso un futuro che ha tinte fosche per il destino del pianeta e degli equilibri ambientali. A cinquant’anni di distanza da queste immagini oggi sappiamo che il progresso e lo sviluppo non sono più un binomio unico, inscindibile e intangibile. La serenità che traspare dalle fotografie è un viatico che ci piace immaginare di poter portare con noi nel proseguire il cammino verso la costante ricerca di una qualità della vita e di una qualità totale del cibo che, come sostiene Slow Food, sia sempre più buona, pulita e giusta.
Buona, organoletticamente e sensorialmente. Pulita, perché sostenibile e mondata sia da Ogm che dalla chimica cancerogena. Giusta, perché il contadino vivendo del proprio lavoro acquisisca un reddito adeguato e una dignità sociale non marginalizzata. Giusta anche perché il consumatore non sia rapinato da inutili anacronistici e abnormi passaggi di filiera. In conclusione, il cibo è espressione alta di cultura materiale e queste foto non evidenziano solo la sapienzialità ma anche la “dolcezza” di un tempo che non era forse meglio di oggi, semplicemente, non spaventava perché era meno alienante.
Alberto Adolfo Fabbri
coordinatore di Slow Food Emilia-Romagna