Il vortice del tempo sovrappone realtà e memoria in immagini che appartengono all’esperienza, al passato che elabora il divenire, come raccolte nello spazio frammentato di un Malevich non suprematista ma in un accenno d’afflato cubofuturista Pier Paolo Giatti gioca nelle sue opere con l’intensità della luce e la poesia del colore, organizza l’anatomia di un’intima idea, diviene pittore dei ricordi visibili. Tutto ciò che un tempo apparteneva alla consuetudine intelligibile che sedimenta negli anni divenendo consapevolezza e maturità è ora quiescenza imprigionata nella gabbia della tela in attesa di ciò che sarà. Elementi architettonici, frammenti di quotidianità velati dalle ombre più sottili, squarci d’opere legate alla cultura ellenica e romana, schegge di ordinaria quotidianità, bucano con delicata nostalgia il ritaglio d’infinito in cui il pittore colloca perfette icone di reminiscenza.
Le proprie esperienze, in dinamico progresso, si agitano come fossero fogli di un taccuino le cui pagine, sovrapposte, rarefatte e riordinate dal caso, s’incollano a improbabili frammenti d’un affresco incompiuto, legate da uno spesso filo di certezze che appartengono al passato.
Il mondo che Giatti compone in spazi geometrici emblematici, dove velature luminose ordiscono perfetti moduli pluridirezionali in cui colloca l’evidenza di figure perfette, crea dunque la traccia criptata di una fuga verso il divenire, affinchè l’immanente divenga trascendente nel suo più limpido concetto antitetico.
Fabrizio Resca
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