Manifestazioni culturali a Bondeno

Finora le iniziative culturali che ho visto erano organizzate dall’assessorato alla promozione del territorio o da quello alle politiche giovanili (alcune anche in collaborazione con Bondeno Cultura); iniziative promosse dall’assessorato alla cultura io non ne ho viste (sicuramente per mia distrazione).
Per certo so che nessuna attenzione è stata rivolta alla Unione Associazioni Culturali [uac.bondeno.com], col risultato che quest’anno non si faranno le "Giornate della cultura".
Capisco che per alcuni non è una gran perdita, ma questo conferma la tendenza generale che costringe a cercare spazio altrove, impoverendo continuamente il tessuto sociale bondenese.

Vite di corsa

La lezione magistrale "Vite di corsa. Le sfide all’educazione della modernità liquida" tenuta il 13 settembre a Bologna presso l’Aula absidale di Santa Lucia dal sociologo britannico Zygmunt Bauman, fa parte del ciclo di incontri dal titolo "Il sapere necessario", organizzati dall’Assessorato scuola, formazione professionale, università, lavoro, pari opportunità della Regione Emilia Romagna.
L’intervento di Bauman ha avuto ad oggetto il rapporto tra democrazia ed istruzione.
In particolare, egli ha considerato tre punti chiave relativi all’istruzione come condizioni indispensabili alla piena realizzazione della democrazia.
In prima istanza, secondo Bauman l’istruzione rappresenta una questione che deve essere affrontata in una visione ampiamente prospettica, che si estenda sull’intero arco della vita dell’individuo. Ciò che si fa nel presente avrà un impatto sulle generazioni future, verso le quali occorre sviluppare, secondo il sociologo britannico, un forte senso di responsabilità.
Si è verificata però negli ultimi tempi, secondo Bauman, una sorta di rivoluzione del concetto di temporalità che sembra invece avere imboccato la direzione opposta: si è andati oltre le visioni tradizionali del tempo come eterno ritorno oppure come linearità contraddistinta da un progresso continuo, per sfociare in una concezione del tempo come singolo punto, della vita come insieme di episodi. Si tratta di una prospettiva limitata al "qui ed ora" che, secondo Bauman, ha la propria principale ragion d’essere nella precarietà che sempre più contraddistingue l’esistenza dei singoli. Egli ha in proposito riportato questo esempio: se un tempo era normale per un lavoratore rimanere nella stessa azienda per tutta la propria vita lavorativa, oggi, nella Sylicon Valley, il periodo più lungo ipotizzabile di "fedeltà" ad un’azienda può arrivare al massimo agli otto mesi.
Egli ha sottolineato come l’educazione debba invece avere una finalità etica di prospettiva e debba essere strumento di consapevolezza atta a generare comportamenti responsabili verso gli altri; egli concepisce infatti il sapere come una serie di abilità soprattutto pratiche, finalizzate all’agire nella vita e nella relazione, al fine di dare forma ad una solidarietà consolidata e ad un senso di "continuità" sociale.
La sfida principale oggi, secondo Bauman, è quindi il ripristino dell’autorevolezza di un pensiero che si proietti sull’intera durata della vita dell’individuo, favorendo lo sviluppo di abilità sociali finalizzate ad un dialogo continuativo.
Di qui discende dunque la necessità di un’istruzione permanente, perché, sostiene sempre Bauman, senza una conoscenza e una consapevolezza a livello politico capillarmente diffusa, la democrazia è impensabile.
Egli ha posto infine l’accento sul fatto che tuttavia oggi, paradossalmente, soffriamo della confusione provocata dall’eccesso di informazione, dalla quale siamo "inondati" soprattutto attraverso Internet. Una delle principali sfide del nostro tempo, pertanto, consiste nell’imparare a filtrare ciò che è davvero utile da ciò che non lo è, perché, afferma il sociologo, soprattutto nel web si è continuamente sommersi da una gigantesca mole di informazioni del tutto irrilevanti. Tuttavia, conclude, di fronte a questa "inondazione" di proporzioni gigantesche, siamo probabilmente condannati ad agire in condizioni di continua incertezza.
Bauman ha terminato il suo intervento sostenendo provocatoriamente che se 30 o 40 anni fa pensava ed insegnava ai suoi studenti che tutta la conoscenza fosse in qualche modo utile, oggi si sente costretto a dover affermare (e insegnare) il contrario.

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John Berger e Giuseppe Cederna interpretano La Tenda Rossa di Bologna

Tra gli eventi che ho potuto seguire in questa undicesima edizione del Festivaletteratura di Mantova c’è la performance di due tra i più eclettici artisti ospiti della rassegna: John Berger e Giuseppe Cederna.
Nel quadro suggestivo e raccolto del cortile del Castello di San Giorgio, lo scrittore ottantenne inglese ha presentato in una lettura a due voci –e due lingue, inglese e italiano- un racconto pubblicato in edizione limitata proprio in occasione del Festival.
Per più di un’ora la voce di questi due artisti ha trasportato gli spettatori nella storia di un viaggio nella città di Bologna compiuto da uno zio dell’autore, lo zio Edgar, eccentrico e curioso viaggiatore della metà del Novecento.
Lo stesso Cederna –attore di cinema e di teatro, scrittore e viaggiatore a sua volta- ci confidava come alla fine, dopo aver letto ed ascoltato più volte il resoconto della vita di questo strano personaggio, avesse cominciato a confondere alcuni tratti della persona con quelli del nipote e narratore John Berger, e avesse iniziato a considerare quest’ultimo come fosse un suo zio, in un gioco di ruoli curioso ed insolito.
Cederna e Berger si sono alternati alla lettura descrivendo la personalità stravagante dello zio, appassionato scrittore di lettere, avido lettore, pacifista e anticonformista sotto molti aspetti, con la passione per i viaggi e per l’osservazione del mondo. Una di quelle persone insomma verso le quali viene spontaneo sentirsi attratti per l’originalità del punto di vista e, contemporaneamente, l’imperturbabile tranquillità.
Lo zio Edgar dunque compie un viaggio a Bologna e, al suo ritorno, ne dà una descrizione minuziosa e delicata al nipote, attenta ai particolari, che la rendono viva, vibrante.
Parla ad esempio dei portici e delle finestre che vi si affacciano, che spesso sono riparate da tende rosse: “non è un rosso argilla e neppure un rosso terracotta, è un rosso rosso. Dall’altra parte ci sono dei corpi e i loro segreti, che dall’altra parte non sono segreti.”
Berger si è occupato spesso di analizzare la questione dello ‘sguardo’ sul mondo; ha scritto alcuni saggi interessanti sull’argomento (vedi Sul guardare, Bruno Mondadori o Modi di vedere, Bollati Boringhieri)e del resto ha cominciato la sua carriera artistica come pittore.
Il suo sguardo è però sempre acuto e puntuale, mira al cuore delle cose, o a raggiungerne l’intima realtà: la qualità di rosso nelle strade di Bologna, il sapore dei cibi che si possono gustare (come i passatelli venduti in un sacchetto di carta spessa o la mortadella più buona del mondo, quella che si trova in un negozio di via Marsala), la luce soffusa che si spande nel negozio di stoffe, “come se nel corso degli anni i rotoli di stoffa avessero emanato una finissima, invisibile polvere di cotone bianco.
Alla fine ci rendiamo conto di quanto Berger assomigli allo zio Edgar: forse è proprio questo che vuole, che lo confondiamo con lui e ce lo immaginiamo passeggiare per le strade della città gettando occhiate curiose dietro le tende rosse di Bologna.

Elisa Chiodarelli

Due incontri con Haim Baharier al Festival Letteratura di Mantova

Il Festival Letteratura di Mantova è un appuntamento annuale che aspetto sempre con grande entusiasmo: scandisce la fine dell’estate regalandomi una serie di suggerimenti per le letture invernali o dandomi la possibilità di approfondire la conoscenza di alcuni autori che amo.

Quest’anno –tra agli altri- ho avuto modo di seguire le ‘lezioni’ di Haim Baharier, studioso di ermeneutica ed esegesi biblica già molto apprezzato nell’ambiente milanese, città dove abita con la famiglia.
Nasce a Parigi da genitori ebrei di origine polacca e studia con alcuni degli esponenti più importanti del pensiero filosofico francese del Novecento, come Emmanuel Lévinas, Léon Askenazi e il Rabbi Israel di Gur.
Si trasferisce negli anni settanta in Italia continuando a coltivare il suo interesse per la filosofia, ma anche per la matematica, la psicanalisi e lavora come consulente aziendale.
Al Festival ha portato il suo libro La Genesi spiegata da mia figlia (con la quale nel 2006 ha tenuto sei lezioni sull’interpretazione della Torà al Teatro Dal Verme di Milano), ma soprattutto ci ha parlato del pensiero ebraico espresso nelle parole del Pentateuco.
Difficile riassumere in poche righe lo spessore e la profondità delle riflessioni proposte: tutte quante partono da una attenta lettura delle parole dell’Antico Testamento –dalla Genesi per esempio-, ciascuna analizzata nei suoi significati possibili, cercando di far affiorare il pensiero che le sottende.
Il lavoro dell’esegeta è quello di rapportarsi al testo con rispetto ma con spirito critico, cercando di non dar per scontato il significato di ciò che si legge, anzi, di rifiutare la strada già segnata, l’interpretazione scontata –che consola e rassicura–, cercando il percorso del pensiero di Dio attraverso il significato più profondo della sua parola.
Parallelamente, Baharier ci suggerisce di porci nei confronti della vita come si pone la Luna nei confronti del Sole –e di Dio che li ha creati- nel 16° versetto della Genesi: la sua posizione subordinata di astro più piccolo e meno luminoso che, inconsolabile, si oppone ad un destino che sembra segnato.
E’ questa una sorta di ‘ingiustizia fondante’ sentita come dolorosa ma necessaria per dar modo al ‘piccolo’ (la Luna ma anche l’uomo) di usare la sua posizione svantaggiata come leva per raggiungerene una non più subordinata.
Questa protesta deve, secondo Baharier, essere portata avanti sistematicamente, fino a farle assumere un carattere etico di ‘rivoluzione permanente’ del Piccolo che non si rassegna mai alla sua condizione di secondo.
E per lo studioso ciò è possibile solo se il pensiero dell’uomo non si arrende ma cerca continuamente di precisare se stesso, di correggersi, di mutare, di valutare, di criticare, di interpretare.
La responsabilità di noi tutti quindi risiede nella nostra capacità critica di interpretare il mondo e ciò che accade, che diviene un percorso etico identitario in continua evoluzione.
Consiglio senz’altro quindi la lettura di La Genesi spiegata da mia figlia Garzanti, 2006 (curioso e indicativo questo ‘da’ e non ‘a’ mia figlia, infatti nella tradizione ebraica ogni bambino che nasce conserva una sorta di ‘sapienza prenatale’ della parola divina che può essere recuperata attraverso la lettura dell’opera biblica), come testo che propone un approfondimento della parola della Torà, che apre ad una revisione delle proprie convinzioni o che può infondere fiducia nelle possibilità del singolo e nella sua responsabilità attiva di pensiero.

Elisa Chiodarelli